Storia: il Regno d'Italia. Sardegna

il regno d'Italia

Nel 1861, con l'unificazione del regno, la Sardegna divenne "italiana".

L'unità politica non portò sostanziali cambiamenti: la Sardegna era in forte ritardo rispetto alle altre regioni italiane, anche alle più povere; in più c'era l'handicap del mare, i trasporti marittimi erano insufficienti e costosi.

Le comunità rurali e le fasce di popolazione più povere furono ulteriormente danneggiate dalle scelte del governo nazionale relative ai terreni ademprivili.

Questi terreni, sfruttati da contadini e pastori per far legna e raccogliere ghiande, furono concessi ad imprese per lo sfruttamento delle risorse del bosco.

La decisione portò ad alcune sollevazioni, tra cui quella detta di "Su Connottu", a Nuoro nel 1868, dove i rivoltosi chiedevano di ritornare "al conosciuto", vale a dire alla tradizione e quindi all'utilizzo comune di tali terreni.

Il malumore diffuso crebbe ulteriormente per la grave crisi agraria del periodo e per gli effetti della politica economica protezionistica attuata dal governo italiano: la Francia rispose con una sua politica di protezione e regioni come la Sardegna, che esportavano con profitto olio, vino e altri prodotti alimentari, furono duramente colpite dalla restrizione.

Per di più la crisi causata da questa guerra economica con la Francia portò molti produttori ad abbandonare le nuove colture specializzate, dirette all'esportazione, per tornare alla produzione cerealicola che bloccò il processo di modernizzazione dell'agricoltura sarda.

Questa crisi determinò un ulteriore peggioramento della vita delle popolazioni rurali, costrette spesso a ricorrere agli usurai per cercare di far fronte alle proprie necessità.

A tutto questo è sicuramente ricollegabile l'aumento del banditismo e della criminalità nelle campagne. Molti banditi diventarono leggendari, suscitando, tra le popolazioni rurali, paura mista ad ammirazione. In realtà dietro molte di queste violenze non c'era solo il bandito solitario, che agiva per salvarsi dalla fame e dalla miseria, ma c'erano vere e proprie imprese criminali, organizzate e finanziate da persone benestanti che le utilizzavano per arricchirsi ulteriormente.

La reazione dello stato fu repressiva e persino le popolazioni ne fecero le spese con rappresaglie e arresti che si susseguirono per molti anni. Il conflitto culturale tra le popolazioni rurali e lo stato si fece più acuto. I contadini e i pastori non furono mai solidali con il governo e continuarono a piangere i loro latitanti, celebrati nei canti come eroici "giganti".

In questo quadro di crisi economica e sociale, il settore più sviluppato dell'economia sarda fu quello minerario. L'attività delle miniere sarde conobbe uno sviluppo impetuoso favorito dalla ricchezza dei giacimenti: il complesso minerario dell'Iglesiente rappresentò, per decine di anni, l'unico vero centro industriale della Sardegna, con più di 15000 operai (gli impianti, visitabili, sono oggi abbandonati e grazie alle belle strutture ottocentesche e alla natura circostante emanano un fascino particolarissimo).

Iglesias, Montevecchio, Buggerru erano i centri che esercitavano una notevole attrazione sulle popolazioni delle zone circostanti, soprattutto quando la disoccupazione agricola raggiunse livelli elevatissimi; le miniere rappresentarono un modo per sfuggire alla fame anche se le condizioni di lavoro dei minatori erano terribili e i salari molto bassi.

I minatori, privi almeno inizialmente di una coscienza politica, venivano letteralmente sfruttati; negli ultimi anni del 1800 però maturarono dal punto di vista organizzativo: questa crescita politico-sindacale fu merito di Giuseppe Cavallera e Alcibiade Battelli, sindacalisti, che riuscirono ad incidere fortemente sui minatori i quali divennero maggiormente coscienti del loro status di operai e dei loro diritti.

Gli scioperi aumentarono e, tra questi, il più clamoroso fu quello di Buggerru, che costò la vita a tre minatori: l'eccidio suscitò una reazione indignata in Italia e sfociò nel primo sciopero generale di tutto il movimento operaio italiano.

Oltre gli scioperi, causa di un malessere diffuso, furono anche i moti popolari che si svilupparono a Cagliari e provincia dando luogo ad assalti e distruzioni di cantine sociali, municipi e stazioni ferroviarie, che provocarono morti e feriti.

La risonanza dei moti fu tale che il governo italiano prese ad interessarsi più stabilmente della Sardegna, ma i risultati, di fronte alle urgenti necessità isolane, furono anche questa volta modesti.