Storia: Romani in Sardegna

Il periodo Romano

Nel 238 a.C. i Romani si impadronirono della Sardegna, chiamati dai mercenari punici ribellatisi a Cartagine.

I primi tempi sono travagliati per la resistenza delle popolazioni sardo-puniche, che culmina nella rivolta fallita di Amsicora, un potente latifondista sardo-punico, nel 215a.C..

La Sardegna Romana, resterà a lungo legata alle tradizioni culturali puniche. Nel 227a.C. l'Isola divenne provincia romana, fù posta sotto il governo amministrativo, giudiziario e militare di un magistrato e fu costretta a pagare pesanti tributi.

La conquista romana non rivoluzionò la vita economica, l'unica novità fu che accanto ai latifondi privati, in parte lasciati ai Sardo-Punici e in parte assegnati a famiglie della nobiltà romana, fu istituito un latifondo pubblico, assegnato ad amministratori privati, per la produzione cerealicola necessaria all'approvvigionamento di Roma e della Penisola.

Le popolazioni delle zone montagnose, i Barbaricini, continuarono a vivere di pastorizia praticando l'uso comunitario della terra, dei pascoli e dei boschi.

I romani accrebbero l'attività estrattiva delle miniere sarde: la manodopera era costituita quasi esclusivamente da schiavi o da deportati politici.

La dominazione romana durò circa sette secoli e lasciò un'impronta profonda, incidendo sulla mentalità, sulla lingua, sui costumi, sulla cultura dei Sardi e del loro territorio.

I segni di questa romanizzazione sono ancora oggi visibili in tutta l'Isola nei resti di ponti (Porto Torres), di acquedotti, fori (Nora), strade, templi (Fluminimaggiore), terme (Fordongianus) e teatri (Cagliari, Nora).

I romani fondarono nuovi centri abitati come Turris Libisonis, l'odierna Porto Torres; svilupparono molte città costiere preesistenti come Carales, oggi Cagliari, Nora, Tharros ed alcuni centri dell'interno quali Forum Traiani, oggi Fordongianus (OR), Augustis, oggi Austis (NU), Valentia, oggi Nuragus (NU). Nacque il concetto di municipio: i municipi avevano autonomia amministrativa e i loro abitanti avevano gli stessi diritti civili dei cittadini romani, ma non quelli politici.

La forte presenza nell'isola dei militari romani, che intrattennero con le popolazioni locali intensi scambi commerciali e culturali, e le innovazioni apportate al sistema stradale sardo furono due potenti motori della romanizzazione della Sardegna.

Fu creato un sistema di comunicazione molto efficiente che attraversava l'Isola in tutta la lunghezza e creò le condizioni favorevoli alla penetrazione culturale romana presso le popolazioni locali.

La lingua delle popolazioni sarde subì profonde trasformazioni con l'introduzione del latino che nelle zone interne penetrò lentamente ma alla fine si radicò profondamente, tanto che, fra le lingue neolatine, il sardo è quella che ne conserva più chiaramente i caratteri.

Per quanto riguarda il culto e le divinità venerate nell'Isola, le zone interne conservarono, in periodo romano, la religiosità preistorica di ispirazione naturalistica.

Nelle città continuarono ad essere presenti culti e divinità del periodo fenicio-punico (Tanit, Demetra, Sid, ribattezzato Sardus Pater dai romani), tuttavia trovarono spazio anche i culti di Giove e Giunone.

Le notizie sulla diffusione del Cristianesimo in Sardegna nel corso dei primi secoli sono incerte. Nell'isola la dottrina cristiana arrivò probabilmente attraverso i mercanti e i militari che arrivarono da Roma, ma già da prima, in età imperiale, molti cristiani, indesiderati a Roma, vennero deportati in Sardegna e cominciarono a predicare il vangelo.

I cristiani furono perseguitati in Sardegna come in tutto il resto dell'impero romano, e anche i sardi ebbero i loro martiri: Simplicio, Gavino, Lussorio e Saturno, condannati a morte tra il III e IV secolo d.C., sotto Diocleziano.

Fra il 315 ed il 371 d.C., due vescovi sardi furono particolarmente attivi nella predicazione del Cristianesimo, Eusebio e Lucifero, mentre nel secolo successivo altri due sardi, Simmaco e Ilario, divennero Papi.

Incerte sono invece le vicende relative ad Efisio un santo ancora oggi molto venerato in Sardegna, che, secondo la tradizione, sarebbe stato condannato a morte sotto Diocleziano e decapitato a Roma.